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TANGO, DI CESARE PAVESE

di lontano, mi soffocava il cuore

 

come in fondo a un abisso, sotto il buio.

Tra bagliore e bagliore,

giungono spaventose scosse di una tempesta,

che impazzisce là in alto, sopra il mare.

Mi giungevano a tratti,

pallide e stanche,

le ombre dei danzatori,

vibrazioni di un mare moribondo.

E vedevo i colori,

delle donne abbraccianti

illividirsi anch’essi,

e tutto rilassarsi

di spossatezza oscena,

e i corpi ripiegarsi,

strisciando sulla musica.

Solo ancora splendeva

su quella febbre stanca

il corpo di colei

che fiorisce in un volto

tanto giovane e chiaro

da fare male all’anima.

Ma era solo il ricordo.

Io la guardavo immobile

e la vedevo, dolorosamente,

nella luce del sogno.

Ma passava strisciando,

senza scatti più, languida,

con un respiro lento

e mi pareva un gemito d’amore,

ma l’uomo a cui s’abbandonava nuda

forse non la sentiva.replicas relojes

E un’ubbriachezza pallida

le pesava sul volto,

sul volto tanto giovane e stupendo

da fare male all’anima.

Tutti tutti tacevano di ebbrezza,

travolti dentro il gorgo

di quella luce livida,

posseduti di musica,

nelle carezze ritmiche di carne,

e stanchi tanto stanchi.

Io solo non potevo abbandonarmi:

cogli arsi occhi sbarrati,

mi fissavo smarrito

su quel corpo strisciante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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